L’ostilissima Val Bavona, pietrificata nel tempo
La Val Bavona è una delle valli più impervie delle Alpi svizzere. Situata nella zona di confine del Cantone Ticino, è come se fosse rimasta ferma al XVI secolo. Questa valle, che ha voluto mantenere la sua natura selvaggia, è abitata solo d’estate e non dispone di una rete elettrica.
Una sottile striscia di terra stretta tra due pareti a strapiombo. Pendii lunghi e ripidi solcati da cascate, tra cui in particolare quella di Foroglio, alta 110m.Quando piove se ne formano centinaia. Si gettano su una piccola pianura, una striscia sinuosa di terra in balia delle frane. E anche dove la montagna è più stabile, il terreno è costellato di enormi massi erratici che sembrano caduti dal cielo. A un primo sguardo, è una terra ostile agli esseri umani. E lo rimane anche al secondo.
Ma non per gli abitanti della Val Bavona. Sui monoliti, lungo i loro fianchi o all’ombra dei grandi massi, la gente di montagna ha strappato alla natura un posto per vivere. Ed è sempre qui, magari facendo qualche concessione alla modernità, ma senza esagerare. Non provate a cercare un interruttore della luce quando scende la notte, perché in Val Bavona non c’è elettricità. Selvaggia nel suo DNA, la parte nord-occidentale del Ticino non ha alcuna intenzione di farsi «addomesticare».
Scura e inospitale
«Questa zona è rocciosa, ripida e ostile. Ma quando i terreni buoni sono già presi, bisogna andare a cercare altrove», dice Flavio Zappa. Piccoli occhiali rotondi e viso spigoloso, rappresenta la memoria di questi luoghi. Storico, archeologo e medievalista, ha condotto scavi, restaurato e mappato la maggior parte degli «splüi» della valle, ovvero le abitazioni ricavate dalla roccia tipiche della regione. Con la sua opera di riferimento in mano, ci ha portati a fare un giro nel suo terreno.
Situata non lontano da Locarno, la regione non corrisponde assolutamente ai cliché che si hanno sul Ticino. Niente palme dorate sulla riviera, niente vigne e pochissimo sole. «Molti luoghi rimangono addirittura in penombra per tutto l’inverno», spiega Flavio Zappa mentre cammina con passo spedito. La valle è delimitata da vere e proprie pareti di roccia, e meno del 2% della sua superficie è coltivabile. Per preservare questa risorsa così limitata, le abitazioni sono state costruite quasi come nell’era delle caverne.
«Oggi, se un grande masso dà fastidio viene fatto saltare in aria. Un tempo non era possibile. Per questo la popolazione ha iniziato a costruire sopra e sotto le rocce, in pratica ovunque» spiega Zappa. Il risultato è un luogo che ricorda il villaggio dei Puffi, con la differenza che questo è ricavato nella roccia. Per recuperare terreni coltivabili, gli abitanti hanno realizzato terrazze sulle pendici della montagna. In questo modo hanno potuto coltivare la terra tra le rocce e anche sopra queste ultime, creando i cosiddetti prati pensili. Gli spazi scavati sotto le rocce giganti servono da riparo per il bestiame e le stravaganti abitazioni dei 13 villaggi della valle sono coperte da imponenti monoliti o incastrate tra due pietre in pochi metri quadrati.
Il tutto per preservare il terreno fertile. Alcune «case-torri» – grattacieli ante litteram – permettono di risparmiare spazio e a Sonlerto l’intero borgo è stato costruito nel bel mezzo di un’antica frana. Anche se qui la vita è tutt’altro che facile, gli esseri umani risiedono da millenni in questi luoghi. «Le prime tracce trovate ai piedi del Monte Basodino (3200m) mostrano che i contemporanei di Ötzi frequentavano la regione già più di 5000 anni fa. Tra loro, soprattutto cacciatori e cercatori di cristalli», spiega Flavio Zappa.
Il grande esodo
La Val Bavona ha però anche alcuni lati positivi: acqua, legna, pietre semi-preziose e passi relativamente facili da attraversare. Nella parte meridionale della valle, la scoperta di una necropoli romana indica che gli antichi dominatori d’Europa frequentavano questa zona già all’inizio del millennio. I loro successori svilupparono un’economia pastorale basata su piccole greggi di capre, sulla produzione di formaggio a pasta dura e su una magra agricoltura. In inverno, la dieta consisteva principalmente in castagne secche. La vita era dura, ma gli abitanti resistevano.
Finché il destino non ebbe la meglio su di loro. «Nel XVI ha inizio la cosiddetta piccola glaciazione. Gli inverni sono più lunghi, le estati più umide, piove di più», spiega Flavio Zappa. Frane di proporzioni storiche spazzano via parte del territorio, il fiume straripa e i pochi terreni coltivabili vengono invasi dall’acqua. Gli abitanti perdono la speranza e inizia l’esodo. Questi luoghi vengono abbandonati e il loro aspetto resta pressoché invariato fino a oggi.
«Le abitazioni principali sono diventate residenze estive per gli ex abitanti, che ora vivono nel fondovalle», racconta lo storico. Il principio della transumanza è ancora radicato tra i contadini, che continuano a frequentare le loro vecchie case in estate. Ma ormai investono soltanto nelle loro residenze invernali. «Questo e l’assenza di strade fino agli anni 1950 hanno fatto sì che i villaggi conservassero il loro aspetto primitivo fino ad oggi», aggiunge Zappa. Ormai abitati solo d’estate, i villaggi sembrano congelati nel tempo: rocce, abitazioni modeste, assenza di elettricità.
Questa particolarità è oggetto di discussioni nella valle. Si è riflettuto spesso, e si riflette tuttora, sull’eventualità di allacciarsi alla rete elettrica, ma senza mai prendere una decisione. «Non è considerato uno svantaggio eccessivo. Ci si abitua a stare senza elettricità, ci sono comunque la legna e le candele. Le persone che vengono qui scelgono questo luogo anche per tornare alle origini», spiega Flavio Zappa. In mezzo ai tetti di pietra, alcuni pannelli blu rivelano comunque che, qua e là, oltre alla tradizione si ricorre anche all’aiuto dell’energia fotovoltaica.
Un patrimonio da proteggere
La biodiversità della Val Bavona, i suoi orti coltivati su grandi massi e il suo paesaggio rurale abbandonato dagli antichi abitanti sono il simbolo di un patrimonio da proteggere. La Val Bavona è stata scelta per illustrare il Tallero d’oro 2020, un’iniziativa lanciata dalle organizzazioni non profit Patrimonio svizzero e pro natura.
Articolo di Boris Boris Busslinger pubblicato su «Le Temps» il 19 agosto 2019.