Gli svizzeri che spiccano in mare
Questo novembre, il ginevrino Alan Roura è partito per la sua seconda Vendée Globe, la regata in solitaria più dura al mondo. Roura fa parte di una tradizione svizzera di «marinai»: anche in mancanza del mare, da ormai quarant’anni i navigatori svizzeri spiccano nelle gare più prestigiose. Un’intervista al giornalista e fotografo di vela Jean-Guy Python, che ha recentemente pubblicato un libro su questa epopea svizzera delle regate oceaniche.
Nel 2016, a 23 anni, il ginevrino Alan Roura si è classificato dodicesimo nella Vendée Globe, la regata delle regate, che prevede un giro del mondo in solitaria, senza soste e senza assistenza, con un budget di appena 400’000 franchi, molto modesto se paragonato ai milioni utilizzati da altri concorrenti. Appeso a una corda, il più giovane della gara è riuscito, nel bel mezzo di una tempesta nel Pacifico, a riparare il timone, guadagnandosi il soprannome di Mc Gyver. Con il suo sorriso, il carattere spontaneo e il suo look da eroe romantico, ha conquistato il pubblico e sedotto la Svizzera.
Il 9 luglio, lui e la sua compagna Aurelia, che gestisce tutto da terra, sono diventati genitori della piccola Billie. Ma questo non ha impedito ad Alan di ripartire a novembre per una seconda Vendée Globe. Ha mantenuto lo stesso sponsor: «La Fabrique», una grande panetteria nel Cantone di Vaud, ma grazie al suo rating ne ha trovati altri, e così ora, dopo quattro anni di preparazione, è partito con una barca più performante.
Nel 2014 per compiere la regata aveva impiegato 105 giorni. Ora spera di completare la sua avventura in meno di 80 giorni e punta ad arrivare almeno tra i primi dieci della gara.
Il mare è tutta la mia vita e la Vendée per me è po' una droga. Se l’hai già provata, vuoi ritornarci. È una gara fisica e mentale. Una guerra con te stesso. Non importa quanto si è preparati, può succedere di tutto,
dice. Alan Roura non ha mai veramente vissuto sulla terraferma. Ha trascorso l'infanzia, dai 4 agli 8 anni, con i suoi genitori su una barca ormeggiata nel porto di Ginevra. Poi tutta la famiglia ha vagabondato in mare per dieci anni.
«Non mi sento mai completamente a mio agio quando il terreno è stabile», dice Alan sorridendo, e aggiunge: «Non penso che sarò mai una persona sedentaria». «Alan è un giovane focoso, una sorta di poeta dei mari», dice il giornalista e fotografo Jean-Guy Python, che segue le grandi regate da 30 anni ed è la mente di «Suisses en mer», un bellissimo libro pubblicato di recente che recensisce le numerose imprese dei navigatori di questo Paese ai quattro angoli del mondo.
Infatti, per quanto sorprendente possa sembrare, anche se la Svizzera non ha sbocchi né sul mare né sull’oceano, i suoi marinai, da Pierre Fehlmann a Ernesto Bertarelli, ma anche tanti altri, hanno sempre avuto posizioni di spicco e ottenuto prestigiosi successi nelle principali competizioni internazionali degli ultimi quarant'anni. «Oggi i marinai svizzeri godono di grande rispetto nel loro ambito. I vari sfidanti sanno che dovranno fare i conti con loro», dice Jean-Guy Python.
Per la maggior parte dei navigatori svizzeri il Lago Lemano, dove hanno affinato le loro armi, è stato il miglior laboratorio, una specie di mare in miniatura. «Sul Lemano ci sono condizioni simili a quelle che si trovano in mare; bisogna essere forti se non c’è aria e saper sfruttare i cambiamenti del vento».
Deciso e determinato, in mare come nell'esercito, simbolo di questi marinai esigenti e tenaci, Pierre Fehlmann, di Morges, è stato il «padre dei marinai svizzeri» e il loro precursore in questa disciplina. Nel 1986, dopo una serie di imprese, vince la Whitbread, la regata intorno al mondo in equipaggio, sulla «UBS Switzerland». È la prima grande vittoria della Svizzera in mare, con un team composto per la maggior parte da giovani velisti svizzeri.
«Su tutte le sue barche, che fossero UBS, Gauloises o Disque d'Or, Pierre Fehlmann ha sempre portato i migliori talenti che selezionava sul Lemano», sottolinea Jean-Guy Python. Steve Ravussin, Bernard Stamm o Dominique Wavre, che in seguito hanno avuto carriere brillanti, si sono formati alla scuola Fehlmann. Ormai 76enne, l’istruttore di Morges non nasconde il suo orgoglio. «Ho trasformato la mia passione in una professione e ho permesso a diverse generazioni di svizzeri di innamorarsi del mare aperto. Penso di poter dire di aver fatto il mio lavoro». E Python aggiunge: «Fehlmann è sempre stato un tipo schietto, che non bara, che dice la verità, un punto di riferimento nella vela e non necessariamente negli altri sport».
Anche lui con un carattere ben temprato e decisamente senza peli sulla lingua, il vodese Steve Ravussin ha navigato con Pierre Fehlmann sull’imbarcazione «Merit» e il loro rapporto è stato piuttosto diretto. «Fehlmann ti fa morire una volta, dopodiché ti adora», dice Ravussin nel libro «Suisses en mer» con una delle sue formulazioni ben riuscite. La vela ha permesso al vodese di Épalinges di rincorrere il suo amore per la velocità. «Mi piacciono la velocità, la tensione, lo stress. Per me, sotto i 20 nodi non ci si muove neppure!». Dopo la vittoria nella Transat Jacques Vabre nel 2001, è sul punto di vincere la Route du Rhum l'anno successivo, quando si capovolge in vista della Guadalupa. «Sono stato preso alla sprovvista, che imbecille», ha detto lasciandosi andare davanti alle telecamere, senza smentirsi.
Ex insegnante di scuola secondaria, in seguito venditore di gioielli, anche il ginevrino Dominique Wavre ha svolto le sue prime regate in mare aperto con Pierre Fehlmann, in particolare gareggiando in tre Whitbread come luogotenente dell’equipaggio. «E ne ha passate tante», dice Jean-Guy Python. In solitaria, ha partecipato a tre Vendée Globe, ottenendo un quarto posto nel 2004, il miglior risultato mai raggiunto da un velista svizzero. E con la sua compagna di vita, Michèl Paret, ha formato il primo equipaggio misto. «Lei si occupa della meccanica, io della messa a punto delle vele, lei è soprattutto timoniere e io sono il trimmer, e la nostra fiducia reciproca è assoluta», racconta Dominique Wavre. E Michèl aggiunge: «Ho sempre voluto salpare con lui».
Bernard Stamm, ex boscaiolo vodese, si arruola nella marina mercantile per esaudire il suo desiderio di evadere.
«Volevo vedere il mondo ed ero senza un soldo». Anche lui si forma alla scuola Fehlmann e fa la storia battendo il record di traversata dell'Atlantico nel 2001. «In mare non ci sono scuse, non puoi barare quando devi lottare per sopravvivere», racconta dopo essere stato vittima di molti spettacolari capovolgimenti, a cui non è sfuggito nessun marinaio di questo livello.
Marinaio talentuoso, soprannominato il «Piccolo Principe dei mari», Laurent Bourgnon, originario di Neuchâtel ha un destino tanto brillante quanto tragico. Come Roura, scopre la vela grazie alla famiglia. Ha quattro anni quando i suoi genitori vendono la loro panetteria a La Chaux-de-Fonds per salpare in mare con i due figli Laurent e Yvan, il fratello minore. A soli 24 anni Laurent vince la Route du Rhum, e in seguito ottiene due successi nella Transat in coppia, di cui uno con il fratello. Le leggende narrano che Laurent, ossessionato dai dettagli, tagliasse a metà gli spazzolini da denti per alleggerire la barca. Ritiratosi dalle gare, continua la sua vita avventurosa partecipando alla Parigi-Dakar e scalando con l'alpinista Jean Troillet, ma il mare se lo riprende per sempre nel 2015, in un incidente subacqueo nella Polinesia francese.
Tra tutti i marinai svizzeri, Ernesto Bertarelli è senza dubbio quello che ha lasciato il segno più grande nella storia, anche se in un ambito un po’ diverso. Dopo aver creato una vera e propria multinazionale della vela ingaggiando i migliori membri dell'equipaggio per ogni posizione, il miliardario ginevrino è riuscito nella sua scommessa conquistando il trofeo più antico al mondo, l'America's Cup, nel 2003: una sschiacciante vittoria a 5-0 sui neozelandesi, in finale e in casa loro ad Auckland, in una regata che prevede duelli di una giornata. Al suo ritorno al porto di Ginevra ad applaudirlo lo attendono 40’000 spettatori. Bertarelli vince nuovamente la Coppa quattro anni dopo, a Valencia. «Bertarelli è prima di tutto un concorrente duro e freddo», dice Jean-Guy Python. Non è mai stato interessato alle corse a lunga distanza. «Mi vedo più come un pilota di Formula 1 che di rally. Ho provato una volta a gareggiare in mare aperto, non fa per me».
Anche Dona Bertarelli, sua sorella, svolge un ruolo pionieristico nell'aprire la vela alle donne. Nel 2010 vince il Bol d'Or sul Lago di Lemano con Ladycat, circondata da una squadra prevalentemente femminile. «Ho capito subito che le donne non avevano il posto che meritavano in questo ambiente molto maschile. Volevo battermi nelle stesse acque dei nostri concorrenti uomini». Nel 2015 finanzia e partecipa lei stessa, unica donna tra 13 uomini, a un tentativo di superare il record del Trofeo Jules Verne, il giro del mondo in equipaggio. Dopo 47 giorni e 10 ore, il suo team, lo Spindrift, non porta a termine la missione, ma Dona riesce nella sua sfida personale. «In mare non c'è differenza tra marinai, uomini, donne, ricchi o poveri. Ho dimostrato a me stessa e agli altri di essere capace, di avere un posto in questo mondo», racconta Dona, che ha anche tre figli.
Justine Mettraux, una delle sue compagne di squadra sul Ladycat, è oggi l'unica donna svizzera a partecipare alle gare in solitaria. Ma mentre le donne che hanno partecipato alle prime otto edizioni della Vendée Globe dal 1989 sono state solo sette, all’inizio dell’edizione 2020 non ce ne saranno meno di sei. Justine Mettraux si è posta l'obiettivo di partecipare nel 2024. Probabilmente vi ritroverà anche un certo Alan Roura...