Il «dream team» femminile delle gare di velocità
Quarte agli ultimi campionati del mondo di Doha nel 2019, le ragazze della staffetta 4x100 punteranno a una medaglia alle Olimpiadi di Tokyo. Rappresentano la Svizzera e hanno radici in Costa d’Avorio, Benin, Congo e Bosnia – e questa è anche la loro forza.
La campionessa europea dei 60 metri indoor 2021, la ticinese Ajla Del Ponte, ha origini bosniache per parte di madre. Il padre di Mujinga Kambundji, la prima svizzera a ottenere una medaglia ai mondiali nelle gare di velocità – ha vinto il bronzo a Doha nel 2019 –, viene dal Congo. I genitori della vodese Sarah Atcho, specialista nei 200 metri, sono originari del Marocco e della Costa d’Avorio. E la semifinalista nella gara dei 100 metri ai mondiali di Londra 2017, la sangallese Salome Kora, ha un padre beninese.
Carismatiche e determinate, queste quattro ragazze di origini diverse compongono la staffetta svizzera 4x100, che da alcune stagioni ormai si distingue a livello internazionale. Già quinte ai mondiali di Londra, hanno fatto ancora meglio a Doha due anni dopo, conquistando il quarto posto a soli 8 centesimi dietro le americane e stabilendo un nuovo record nazionale: 42 secondi e 18 centesimi. Sono anche state elette squadra svizzera dell’anno agli Sports Awards 2019. La loro impresa ha entusiasmato tutto il Paese. In un ultimo rettilineo di fuoco, Salomé Kora è quasi riuscita a raggiungere l’americana. «Negli ultimi 50 metri potevo vederla, la sentivo sempre più vicina», dice. «Si tratta pur sempre della squadra americana! È stato fantastico stabilire così il nuovo record svizzero». Le ragazze svizzere della staffetta sanno che quel giorno hanno fatto qualcosa di indimenticabile. Alja Del Ponte si rallegra:
Abbiamo dimostrato che la Svizzera non è più un Paese insignificante in questa specialità.»
«Anche se da tempo ad ogni stagione si vedevano dei miglioramenti, nessuno si aspettava una cosa simile dalla piccola Svizzera», aggiunge Mujinga Kambundji. «Abbiamo fatto vedere che possiamo competere con le migliori del mondo». Come dice anche l’allenatore della squadra, il giurassiano Raphaël Monachon, «quella gara resterà per sempre nella mia memoria».
Alle Olimpiadi di Tokyo di quest’estate la squadra svizzera della staffetta è candidata al podio. «Sì, è l’obiettivo che ci siamo prefissati», dice Raphaël Monachon, ex campione dei 110 metri a ostacoli, senza alcuna esitazione. E neanche le atlete mostrano tracce di falsa modestia: «Siamo spesso finite quarte o quinte nei grandi eventi sportivi, ora stiamo lavorando per questo risultato» dice Salome Kora. E Ajla Del Ponte aggiunge: «A Doha abbiamo ottenuto una medaglia, quindi perché non dovremmo riuscirci di nuovo?».
Durante le manifestazioni internazionali le gare di staffetta si svolgono sempre verso la fine della giornata. Sono il momento clou dello spettacolo. Prima del coronavirus, a Losanna come a Zurigo il calore del pubblico era palpabile quando la squadra svizzera scendeva in pista. «Sugli spalti si vedevano migliaia di bandiere e le persone si alzavano in piedi per sventolarle, come a una partita di calcio», dice il friburghese Laurent Meuwly, il vero artefice della staffetta svizzera, che ha allenato la squadra per sei stagioni. Raphael Monachon percepisce questo entusiasmo anche nel suo piccolo villaggio di Sonceboz, nel Giura: «Quando le persone mi vedono per strada spesso mi fermano per dirmi quanto sono orgogliose, e anche se ripeto sempre che sono solo l’allenatore, vedo che c’è molta simpatia intorno a questa squadra».
Anche nel calcio, se la nazionale è al top da più di dieci anni è grazie a una generazione di giocatori immigrati, come Xhaka, Shaqiri e Zakaria. Come sta succedendo con la staffetta 4x100. «Queste ragazze danno della Svizzera una magnifica immagine di integrazione e mescolanza di culture», dice Pierre Morath, ex atleta e storico dello sport. Secondo Laurent Meuwly, le diverse origini delle atlete contribuiscono alle loro ottime prestazioni. «Hanno una capacità eccezionale di uscire dalla loro zona di comfort». Raphaël Monachon condivide questa opinione:
La loro forza deriva anche dalle loro radici così differenti. Per non parlare del fatto che sono molto tolleranti l’una con l’altra.
Anche Ajla Del Ponte lo considera un vantaggio: «Ognuna di noi ha le sue tradizioni, un’eredità da coltivare, e a volte ne parliamo».
«Abbiamo tutte un cuore molto svizzero e siamo orgogliose di dare un’immagine positiva del Paese in cui siamo cresciute», dice Salomé Kora che, delle quattro atlete, è l’unica ad aver trascorso parte della sua infanzia, dai sei agli undici anni, in Benin, il Paese di origine di suo padre. «I miei genitori sono entrambi infermieri e mia madre ha incontrato mio padre in Benin. Nell’ambito di un progetto umanitario sono andati nel Paese per occuparsi di un dispensario in mezzo alla natura». Salomé ricorda con grande emozione le corse a piedi nudi nella boscaglia, e i giochi con vecchi pneumatici usati, come nei film. «Sono molto felice di aver potuto vivere in entrambi i miei Paesi, così ho potuto trovare la mia identità. Siamo tornati in Svizzera quando ho iniziato la scuola secondaria». Nel caso di Ajla Del Ponte, è stata la guerra in Bosnia a portare sua madre in Ticino, dove ha studiato medicina. «La mia lingua materna è il bosniaco», dice. «A volte torno in Bosnia per seguire la ricostruzione della nostra casa». Sarah Atcho ha visitato più volte i suoi due Paesi d’origine, il Marocco e la Costa d’Avorio. «Volevo vedere da dove venivano i miei genitori, da dove vengo anch’io. Noi rappresentiamo la Svizzera, ma ci aggiungiamo anche un po’ di altre culture. È un bel segno di apertura». Mujinga Kambundji, da parte sua, non ha mai visitato il Congo che suo padre ha lasciato più di 40 anni fa, ma spera di poterlo fare un giorno. «Quello che mi piace di questa squadra è anche che rappresenta i quattro angoli della Svizzera», aggiunge sorridendo.
Mujinga Kambundji, che detiene il record nazionale nei 100 e nei 200 metri (10’’95 e 22’’26), è stata a lungo l’unica stella svizzera nelle discipline di velocità ed è stata eletta sportiva dell’anno nel 2019. Ma durante la sua assenza nella scorsa stagione è stata Ajla Del Ponte a esplodere letteralmente sulla scena internazionale, stabilendo il più veloce tempo europeo nei 100 metri. «Oggi abbiamo due locomotive», dichiara Raphaël Monachon. La ticinese si allena nei Paesi Bassi con Laurent Meuwly, responsabile della squadra olandese. Secondo lui, Ajla ha ancora un bel margine di miglioramento. «Questa estate potrebbe avvicinarsi ai 10 secondi e 90 centesimi, che potrebbero significare una finale o addirittura una vittoria olimpica. Ha fatto decisamente un salto di qualità». Oltre all’atletica, questa brillante studentessa dell’Università di Losanna sta per ottenere un diploma di bachelor sulla poesia italiana del XVI secolo. L’anno scorso l’Università le ha conferito il «Premio dell’anno» come riconoscimento per il significativo contributo dato alla fama dell’ateneo.
Le compagne di squadra sono le prime a rallegrarsi dei suoi risultati. «I tempi di Ajla sono incredibili», esclama Salomé Kora. «Ajla è uscita dal bozzolo, ha guadagnato fiducia in sé stessa», aggiunge Sarah Atcho, «oggi è lei il capo». Senza alcuna gelosia, Mujinga Kambundji è felice per Ajla: «È fantastico quello che fa. Più concorrenza c'è, più il livello è alto. Ed è un bene per tutti». Le due star della squadra sono molto affezionate l’una all’altra. «Mujinga è una persona molto tranquilla, posata. Le piace leggere e a volte parliamo di libri».
Dopo gli infortuni Mujinga Kambundji ha ritrovato la sua forma ed è molto ottimista per il grande obiettivo della stagione, le Olimpiadi:
Si va alle Olimpiadi sperando di portare a casa una medaglia, è inevitabile.
Anche Sarah Atcho, che è stata doppiamente penalizzata da un’operazione al ginocchio e dalla COVID-19, è decisamente fiduciosa. «Alla fine, la pausa di tre settimane impostami dalla COVID-19 mi ha fatto bene», dice la specialista dei 200 metri che si allena da settembre in Belgio con un gruppo di atlete forti e motivate. Salomé Kora, che ha appena completato un master in lingue straniere all’Alta scuola pedagogica di San Gallo, dichiara di andare avanti «con assoluta serenità».
Da rivali nelle gare individuali, le quattro ragazze diventano compagne di squadra per la staffetta. «Riusciamo a passare da una situazione all’altra molto rapidamente», afferma Salomé Kora. «Per il 90% del tempo siamo concorrenti; a volte siamo rivali un giorno e compagne di squadra il giorno dopo, il che non ci impedisce di andare molto d’accordo. Abbiamo i nostri piccoli rituali. E non c’è niente di forzato. È questa la nostra forza», dice Mujinga Kambundji. Il tempo e i risultati ottenuti le hanno avvicinate. «Abbiamo imparato a conoscerci meglio e i nostri legami si sono rafforzati», aggiunge Sarah Atcho. Ajla Del Ponte è pienamente d’accordo:
C'è un’ottima intesa tra noi, e si sono create forti amicizie».
Le quattro atlete sono mosse dalla stessa ambizione: «Sanno che la staffetta offre loro una stupenda opportunità e che per questo devono essere unite», sottolinea Laurent Meuwly. Mentre Raphaël Monachon conclude: «C’è una sana emulazione tra loro. E alle loro spalle ci sono già le più giovani che stanno crescendo».
La squadra si incontra sei o sette volte all’anno per lavorare sulla tecnica: quei passaggi del testimone che spesso sono cruciali quanto la velocità intrinseca di ogni velocista. «Un cambio è ben riuscito quando le ragazze riescono a effettuarlo alla massima velocità – sia quella che passa il testimone sia quella che lo riceve», spiega Laurent Meuwly. «Il video è il nostro fondamentale strumento di lavoro», precisa Raphaël Monachon.
A Tokyo, le Olimpiadi si terranno per la prima volta senza spettatori stranieri. Sarah Atcho commenta: «I giapponesi meritano tutto il nostro rispetto perché stanno affrontando una sfida incredibile». L’esperto Pierre Morath crede in una medaglia svizzera? «Una staffetta è una gara piena di imprevisti, ma le ragazze stanno attraversando un momento molto positivo. Secondo me tutto dipenderà dalla forma di Mujinga».